About La Viandante
Miranda non avrebbe mai immaginato che un quadro fosse così poco bidimensionale, quando intraprese la sua avventura con il lapislazzuli. Miranda, Leo e Concita vivono una vita urbana, dove il quotidiano sconfina oltre la cornice del reale e dove l'irreale è vero oltre la ragione. Una storia in cui ciascuna parola ha un senso preciso, autentico, unico e un senso inverso, nascosto tra le righe oltre la cornice del testo narrativo.
INCIPIT
I ricordi sono una parte imprescindibile di me, come il fusto che sorregge la crescita dei rami, o le radici che attingono l'acqua e i preziosi nutrimenti sotterranei che danno energia e vigore alla pianta. Alla maniera delle memorie nascoste negli abissi, i miei piedi, segmenti inferiori sempre impolverati e uniti al suolo, mi tengono eretta e salda sulle gambe, mentre le gambe mi aiutano nella deambulazione e mi fanno procedere nel mio cammino. L'emozione è forte e mi invoglia a scrivere di getto, ma la mente razionale m'impone di narrare con amore e prudenza. Mi chiamo Miranda Chiari. Dieci anni fa, ero una diciottenne intraprendente e frequentavo la Comics' School a Milano. Tutti i giorni, prendevo il rapido Brescia-Milano e, una volta giunta in stazione, scendevo fino ai binari della metro; salivo sul treno per Porta Genova e andavo incontro alla mia avventura quotidiana. Una volta, all'uscita della metropolitana, sostavo sul marciapiede in contemplazione delle bancarelle che esponevano le loro mercanzie, quando scorsi un ragazzino che correva tra la folla. Attraversò la strada a razzo, un tram lo evitò per un soffio. Tremai per lui e mi ripromisi che, se per caso lo avessi rivisto, lo avrei rimproverato di brutto. Il pensiero s'avverò quasi all'istante poiché lo stesso giorno, all'inizio della ricreazione, me lo ritrovai davanti nel cortile della mia scuola. Mi evitò e fuggì via. Lo seguii con lo sguardo finché si eclissò nella biblioteca al pianterreno. Chiesi spiegazioni. In sede, si tenevano dei corsi pomeridiani per i bambini, mi informarono i compagni. Raccontarono anche che quel ragazzino disegnava benissimo, aveva un tratto grafico divino e un grande futuro nell'arte pittorica. In ultimo, mi dissero che spesso marinava la scuola media per venire a leggere i fumetti nella nostra emeroteca. Mi piacque all'istante. Anch'io da piccola preferivo sprofondare in una storia illustrata anziché fare i compiti. Quando terminarono le lezioni, gli altri allievi sciamarono fuori dai cancelli, invece io mi fermai ad usare in tutta calma una delle lavagne luminose che la mattina gli studenti di tutte le classi assalivano come le cavallette. Dopo un poco, entrò un uomo che poteva avera all'incirca una quarantina d'anni. Appena mi scorse, aggrondò i cigli. Aveva il tipico aspetto trasandato figo tipico dell'artista grafico pubblicitario, pensai, mentre mi chiedeva se poteva usare l'aula. Gli imbianchini stanno tinteggiando la nostra e non so dove portare i ragazzi, aggiunse. Nulla in contrario, risposi. Che cos'altro potevo replicare a un insegnante? Una ciurma disordinata invase i banchi e, insieme agli altri, entrò anche il piccolo genio spericolato. Fermo sulla soglia, mi guardò a lungo: io persa nell'alone accecante dei faretti, lui una sagoma in controluce. Parato davanti ame, mi soppesò con le palpebre socchiuse. Forse, chiedendosi dove m'avesse già vista. Dopo avermi squadrata, si avvicinò e osservò il mio abbozzo di alberi spogli su cui dovevano germogliare dei meccanismi temporali. Sul tavolo, accanto alla bozza, avevo messo una cassa d'orologio aperta per riprodurne i vari ingranaggi e le complicazioni tra i rami delle piante. Originale, esclamò. Vuoi vedere i miei lavori? propose sgranando gli occhi. Acconsentii; mi parve felice. Svuotò sul ripiano di cristallo la cartella piena zeppa di disegni. Gli feci un sacco di complimenti, tutti meritati per via del tratto fine e dei soggetti originali, vidi le sue labbra distendersi fino alle
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